Mentre svolgevo un tirocinio presso il reparto di psichiatria dell’ospedale Policlinico di Milano, al VI° anno del corso di laurea in Medicina, mi venne proposto di svolgere la tesi su un argomento, all’epoca considerato di nicchia e ben poco conosciuto: la depressione postpartum.
Accettai di buon grado, incuriosita da un disturbo che ancora non compariva nei manuali di diagnosi e cura dei disturbi mentali. In preparazione della mia tesi, passai mesi ad intervistare le partorienti e le neomamme presso il reparto di ginecologia ed ostetricia dell’ospedale Mangiagalli di Milano. Nelle interviste a queste donne emersero speranze e paure, dubbi e incertezze, gioia che improvvisamente si alternava all’angoscia, nottate di sogni ed altre di incubi. Parlai con le donne della loro maternità, dei loro neonati, delle loro famiglie. Mi confidarono di ansie, notti insonni, umori tristi, angosce. Capii quanto poteva essere doloroso e difficile diventare madri e capii anche che dare voce a questo dolore era fonte di vergogna e di colpa.
Quella prima esperienza lasciò in me una traccia indelebile, tanto che decisi come psichiatra di sviluppare una competenza specifica sul trattamento psicofarmacologico dei disturbi del puerperio.
La letteratura scientifica in questo campo si è enormemente sviluppata e offre ai sanitari linee guida affidabili e indicazioni precise sui farmaci che possono essere assunti in gravidanza e in allattamento.
A questo proposito, lo studio della depressione postpartum ha permesso di evidenziare anche i rischi del mancato trattamento perché la buona salute mentale della mamma è una condizione non sufficiente ma necessaria per un sano sviluppo neuro-psicologico del neonato.