02 Nov Infanzia: storie di vita e malavita
“Da grande farò il veterinario e curerò tutti gli animali malati, così che smetteranno di soffrire”.
La risposta che diedi alla maestra delle elementari fu immediata, non dovetti pensarci molto, come invece successe ad alcuni compagni di classe che palesarono incertezza e dubbi.
Solo nel corso degli anni successivi mi resi conto dove era nato, e successivamente tramontato, questo sogno di bambina.
Sono cresciuta in una famiglia borghese, molto normale e tanto per bene. Padre dirigente e madre casalinga. Alla fine degli anni sessanta, quando sono nata, non erano molte le donne che si sentivano autorizzate a domandarsi se dedicarsi al lavoro di madri, mogli e casalinghe fosse proprio quello che desideravano.
Mia madre questa domanda non se la pose, semplicemente si ritrovò moglie e mamma e senza tante storie si incarnò in questi ruoli. Raramente, però, la vedevo sorridere. Il più delle volte era agitata per le faccende domestiche che sembravano perseguitarla, in affanno nella gestione delle sue due bambine, irritata sia con loro che con il marito troppo assente e poco capace di apprezzare i tanti sforzi che lei faceva all’interno delle mura domestiche.
Ad un certo punto, ancora piccola, ma evidentemente già turbata da questo clima di malumore ed agitazione, inizia a domandarmi come mai le persone intorno a me raramente sorridevano.
In effetti, anche mio padre era poco incline alla leggerezza, quanto piuttosto taciturno, ombroso, chiuso in un mondo di pensieri propri che non amava condividere con i suoi familiari.
Notavo che non si parlava molto in casa mia, neppure si scherzava, raramente ci si divertiva, tanto si parlava di compiti, lavoro, impegni domestici, mutui da pagare, spese da sostenere.
Anche mia sorellina era poco ciarliera e poco incline al gioco, saggiamente silenziosa e calma, mentre io avevo “l’argento vivo in corpo”. Ricordo che mia madre spesso mi ripeteva questa frase, ma non sembrava affatto un complimento. Aggiungeva che la nascita di una figlia così pacifica, poco schizzinosa con il cibo e poco propensa a correre per la casa “come un’ossessa”, era stata una benedizione dopo anni di vita con me!
Facevo fatica a capirci qualcosa in tutto questo marasma, ma mi resi conto rapidamente che quando andavo a trovare i miei nonni e venivo travolta dalla gioia irrefrenabile del loro cane, un cocker biondo e paffuto, mi sentivo davvero felice. Finalmente, incontravo qualcuno che giocosamente “correva come un ossesso”, infischiandosene dei fottuti compiti e delle maledette preoccupazioni!
Il progetto di fare il veterinario aveva le sue radici in quei primi anni di vita e di malavita. Malgrado la saggezza di questo intento, esso naufragò quando in adolescenza il dolore che avevo cercato di tenere a bada da bambina mi morse l’anima come un letale mamba nero. Dovetti pensare ad un piano B per sopravvivere a tutto quel veleno che, nonostante gli antidoti che mi ero procurata, stava minacciando la mia sopravvivenza.
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